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Screening neonatale: la Toscana modello nazionale


24/06/16
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Intervista con Giancarlo la Marca, responsabile dell'Unità operativa screening neonatale, chimica clinica e farmacologia dell'Ospedale pediatrico Meyer di Firenze

La Toscana modello nazionale per lo screening neonatale. E’ di pochi giorni fa la notizia dell'approvazione, da parte della Camera dei Deputati, della proposta di legge che prevede di estendere a tutte le regioni il sistema di accertamento diagnostico sui neonati. Un sistema che consente di individuare in modo precoce malattie metaboliche molto gravi, consentendo così di ridurre o eliminare il tasso di mortalità o disabilità. La legge in via di approvazione si sviluppa proprio sul modello di quella toscana. In attesa che il Parlamento dia il via libera definitivo a un quadro normativo omogeneo per tutto il Paese, l'attività di ricerca su questo fronte non si ferma. Ne abbiamo parlato con il professor Giancarlo la Marca, responsabile dell'Unità operativa screening neonatale, chimica clinica e farmacologia dell'Ospedale pediatrico Meyer di Firenze.

Di cosa parliamo quando parliamo di screening neonatale?
E' un sistema complesso che punta a diagnosticare precocemente alcune malattie congenite con analisi di laboratorio, non sempre clinicamente evidenti alla nascita. Siamo in piena medicina preventiva, dunque. Si tratta di una serie di malattie di tipo genetico, endocrinologico, metabolico per le quali esiste una terapia. Il percorso di questo sistema si apre nei punti nascita con la informazione data alle famiglie, con la formazione del personale che fa il prelievo dal tallone del neonato nei primi giorni di vita (48-72 h) e prosegue dal quale con una serie di esami attraverso i quali è possibile individuare alcune malattie. Una volta che queste malattie vengono identificate con certezza si apre il capitolo della presa in carico del bambino per la sua cura. Si tratta di un percorso che può essere lungo e articolato.

Attualmente come è regolato l'accesso allo screening?
Oggi sono obbligatori gli accertamenti per tre patologie: la fenilchetonuria; l'ipotiroidismo congenito e la fibrosi cistica. Estendere lo screening ad altre malattie è a discrezione delle Regioni. Alcune, come la Toscana, sono state pioniere in questo senso. Nel 2001, infatti, il nostro sistema regionale fu il primo a avviare un progetto pilota divenuto poi legge nel 2004 che allarga a 40 malattie metaboliche lo screening neonatale. Un modello che oggi sta per essere adottato a livello nazionale con l'accordo trasversale di tutte la forze politiche.

Un esempio di buona politica.
Sì, perché si è compreso l'utilità del sistema, ma soprattutto si è voluto superare l'ingiustizia per cui esiste, oggi, una disparità a seconda di dove si nasce. Una disparità inaccettabile che spero possa essere superata al più presto con la nuova legge. C'è voluto del tempo, ancora non siamo in fondo al percorso legislativo, ma, da ricercatore posso dire che quando ci arriveremo sarà una giornata importante per tutti.

Quali sarebbero le ricadute positive per il sistema sanitario nazionale.
Alcune delle malattie di cui parliamo, ad esempio, possono portare a danni neurologici molto gravi o addirittura alla morte imporvvisa del neonato. Per fare un esempio concreto: tra i difetti identificabili con lo screening allargato c’è il deficit dell’enzima MCAD, che garantisce la metabolizzazione degli acidi grassi a catena media. Una delle patologie che, se non diagnosticata, può causare la morte o danni neurologici permanenti. Una condizione, questa, che può causare costi sanitari per il trattamento terapeutico e per il sostentamento pari anche a centinaia di migliaia di euro l’anno per un solo paziente. Con la stesso contributo economico si può effettuare lo screening di una intera regione per tutti i difetti. E' un esempio di come solo lo screening per questa malattia giustifica i costi di un programma di screening esteso a tutta la popolazione neonatale.

Quali limiti ci sono allo screening?
Partiamo dal presupposto che le patologie metaboliche complesse sono molto più delle 50 che troviamo nei pannelli più estesi. Ne conosciamo circa 600, ma ce ne sono altre sconosciute. Il limite però è di tipo etico e giuridico, non tecnico. Ci deve essere un test disponibile, semplice, di basso costo e ad elevata specificità, così come deve esistere una terapia che, se non risolve completamente il problema, deve poter almeno modificare la storia naturale della malattia permettendo un aumento dell’aspettativa di vita e/o un miglioramento della sua qualità. Il limite, dunque, non è di carattere tecnico, ma è piuttosto legato a criteri di inclusione universalmente riconosciuti anche se in fase di revisione e discussione.

Nel contesto “illuminato” della Toscana il Meyer è un'avanguardia. Su cosa sta lavorando, insieme al suo team di ricercatori?
Sì, al Meyer abbiamo sviluppato, negli anni scorsi, dei test innovativi come quello per la tirosinemia di tipo I, che oggi è utilizzato nel mondo. Più recentemente, invece, abbiamo sviluppato il test per la diagnosi precoce del deficit di ADA SCID, una delle Immunodeficienze Severe Combinate più diffuse. Al momento ci occupiamo in particolare di tre nuove categorie di patologie: immunodeficienze; malattie di accumulo lisosomiale e lucodistrofie. Alcune di queste patologie hanno delle terapie di tipo farmacologico efficienti per altre già è stata sperimentata una terapia genica. Manca il test diagnostico: su questo fronte stiamo lavorando.

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